Ha  pronunciato la seguente ordinanza, sul ricorso n. 196 del 2007
proposto  da  Cassatella  Antonio,  rappresentato e difeso dagli avv.
Giandomenico   Falcon,  Christian  Ferrazzi  e  Daria  de  Pretis  ed
elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultima in Trento,
via SS. Trinita' n. 14;
   Contro   il  Ministero  della  giustizia -  Commissioni  esami  di
avvocato  e/o Corte appello di Perugia e Trento per la sessione esami
2006/2007,  in  persona  del  Ministro  pro  tempore, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato di Trento nei cui
uffici  in  largo  Porta  Nuova  n. 9  e'  per legge domiciliata, per
l'annullamento  del  giudizio  di  non ammissione del ricorrente alla
prova  orale dell'esame di avvocato per l'anno 2006, nonche' di tutti
gli  atti  presupposti,  consequenziali  e  connessi, con riferimento
particolare   ai  giudizi  espressi  dalla  III  Sottocommissione  in
relazione al «parere di diritto penale» e all'«atto giudiziario».
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione;
   Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Uditi  alla  pubblica  udienza del 17 gennaio 2008 ― relatore il
consigliere   Mario  Mosconi  ―  l'avv.  Daria  de  Pretis  per  il
ricorrente,    l'avvocato    dello    Stato    Sarre    Pirrone   per
l'amministrazione resistente;
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                     F a t t o  e  d i r i t t o
   1.  ―  Con  sentenza  non  definitiva  n. 72  del 20 marzo 2008,
relativa  al  presente  ricorso,  avente ad oggetto l'impugnativa del
giudizio netativo degli scritti redatti dall'istante in sede di esami
di abilitazione alla professione forense, sessione 2006-2007 venivano
respinte  due  delle  tre  censure  dedotte  dal  ricorrente; una, in
particolare, veniva dichiarata inammissibile, facendo essa leva sulla
assenta  necessita'  di  ottenere,  in  questa  sede,  una  rinnovata
valutazione   degli  elaborati  svolti,  essendo  cio'  pacificamente
escluso  dalla  giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez.
VI,  4  settembre  2007, n. 4635, Sez. IV, 5 settembre 2007, n. 4659,
Sez.  IV,  17  settembre  2004, n. 6155); l'ulteriore rilievo, con il
quale si lamentava che, a parita' di spessore dei relativi elaborati,
quelli  di  altri  candidati  sarebbero  stati  valutati con maggiore
benevolenza, e' stata invece ritenuto infondato nel merito.
   Eguale  conclusione  negativa  avrebbe  dovuto  assumersi  per  la
residuale  censura,  con  la  quale  era  stato dedotto il difetto di
motivazione del giudizio espresso dalla Commissione esaminatrice alla
luce   della  denunciata  inidoneita'  ad  esternarlo  da  parte  del
cosiddetto   voto   alfanumerico,   tenuto   conto  al  riguardo  del
consolidato  indirizzo  della  giurisprudenza del Consiglio di Stato;
tuttavia,  con  la  recente  sentenza  30 maggio 2006, n. 193, questo
Tribunale,  dopo  aver osservato che «pur sussistendo l'esistenza. di
qualche principio di segno opposto, e' ormai piu' che maggioritario e
pressoche' consolidato presso il giudice d'appello quell'orientamento
giurisprudenziale  secondo  11  qua/e, anche dopo l'entrata in vigore
della legge n. 241 del 1990, l'onere di motivazione della valutazione
forense  e'  sufficientemente  adempiuto  con  l'attribuzione  di  un
punteggio affanumerico (o numerico), configurandosi quest'ultimo come
formula  sintetica  che  vale  ad esternare adeguatamente il giudizio
tecnico delle CC.GG.», aveva, peraltro, argomentatamente concluso che
il  detto  indirizzo collideva con quello fatto proprio nella propria
precedente  pronuncia  n. 351  del  2001, confermata integralmente in
quella sopra richiamata, accogliendo per conseguenza il ricorso.
   Ai  fini  della definizione del suddetto motivo deve essere dunque
ricordato  che  l'indirizzo  adottato  della IV sez. del Consiglio di
Stato  sull'anzidetta  questione  con  le decisioni n. 537, 538, 539,
540,  541,  543 e 689 del 2008) fanno propria, invece, la sufficienza
del  voto alfanumerico nel giudizio in sede generale di legittimita';
che, inoltre, proprio con riferimento al prodotto ricorso l'ordinanza
20  settembre  2007, n. 95, con cui questo tribunale aveva accolto la
domanda di misura cautelare, disponendo che gli elaborati scritti del
candidato   fossero   riesaminati   da   altra   Sottocommissione  ed
ammettendolo  con riserva a sostenere le prove orali subordinatamente
all'emissione  di  un  giudizio positivo sulle stesse prove, e' stata
totalmente  riformata  dalla  sez.  IV,  del  Consiglio  di Stato con
ordinanza  27 novembre 2007, n. 6146, che ha richiamato a tal fine le
proprie  precedenti  contrarie  pronunce  12 giugno 2007, n. 3114 e 2
marzo  2007,  n. 1009  in  ordine  all'inesistenza  di  un obbligo di
motivazione   diverso   da  quello  dell'espressione  del  solo  voto
cosiddetto alfanumerico.
   Ad  avviso del Collegio pare, peraltro, possibile ancora una volta
lumeggiare  le  ragioni  che  indubitano sul piano della legittimita'
costituzionale  la  ormai «granitica» giurisprudenza del Consiglio di
Stato,  che  eleva  da  oltre  18 anni un vallo non valicabile per la
potenziale   percezione   delle   concrete   ragioni   addotte  dalle
Commissioni esaminatrici a sostegno del giudizio negativo sulle prove
scritte svolte dai candidati.
   Giova  premettere sotto un primo e preliminare profilo che la mera
espressione  alfanumerica  di un giudizio non sembra integrare alcuna
reale   ed   effettiva  «motivazione  sintetica»,  ove  l'espressione
«motivazione»  assolva  l'esigenza  di  manifestare  al  candidato il
perche'  della  sua  relezione  alle  prove scritte, ma pare tradursi
soltanto nell'espressione di un valore essenzialmente relativo che si
manifesta   in   termini  matematici,  oscuro  restando  comunque  il
fondamento valutativo del connesso giudizio.
   Il Tribunale e' ben consapevole di quanto statuito anche da ultimo
da  codesta  sovrana  Corte con le pronunce n. 466 del 2000, n. 419 e
420  del  2005  e  da  ultimo  ancora  con  quella n. 28 del 2006, ma
persiste  a  ritenere che, allo stato, non si configuri il fondamento
dell'affermata inammissibilita' delle questioni a suo tempo sollevate
e  dunque  la sussistenza di un mero dissenso in giurisprudenza, come
tale  suscettibile di diversa evoluzione, da cui ha tratto fondamento
l'affermata estraneita' di codesta sovrana Corte al thema decidendum:
ogni  diversa  lettura  dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241
e',  infatti  in material costantemente reietta in sede d'appello, il
che  accredita la totale ed ormai incondizionata preclusione da parte
del Consiglio di Stato ad una diversa lettura della suddetta norma.
   Alla  luce,  pertanto,  dei  richiamati  precedenti  l'espressione
alfanumerica   del  voto  e'  ormai  ritenuta  capace  di  soddisfare
pienamente  la necessita' di una sufficiente motivazione senza che da
siffatta  espressione  ogni  candidato  non  ammesso agli orali possa
peraltro  comprendere  dove  abbia sbagliato e quali errori possano e
debbano   essere  emendati  in  una  successiva  tornata  d'esami  di
abilitazione.
   L'orientamento  del  Consiglio di Stato deve, quindi, essere ormai
qualificato  come  diritto  vivente e valgano al riguardo le pronunce
della  sez. IV, n. 6155 del 2004, n. 4165 del 2005, n. 1009 del 2007,
n. 2221  del  2007,  n. 5855  del 2006, n. 9348 del 2006, n. 6507 del
2006,  n. 25  del  2007,  n. 4657  del 2007; della sez. V, n. 163 del
1989;  della  sez. VI, n. 14 del 1999; del Consiglio di giustizia per
la  Regione  Siciliana  n. 236 del 2004; nonche' dei TT.AA.RR. che, a
fronte  di  tante  cassazioni  delle  opposte  pronunce,  hanno ormai
desistito  da  ogni ulteriore sforzo per una diversa e piu' appagante
lettura dell'ordinamento.
   Rafforza  la suesposta conclusione in merito alla riproponibilita'
della questione il fatto che, seppure il d.l. 21 maggio 2003, n. 112,
convertito,  con  modificazioni, dalla legge 178 luglio 2003, n. 180,
al  suo art. 1-bis (ma cfr. Anche l'art. 22, nono comma del r.d.l. n,
1578  del  1933)  abbia  innovativamente introdotto alcuni criteri di
valutazione  delle  prove  d'esame  in discussione, tale precetto non
pare  essere  stato  fedelmente  recepito  dalla  giurisprudenza  del
Consiglio  di  Stato,  che  ha statuito che «la predeterminazione dei
criteri  di  valutazione  delle prove a posti di pubblico impiego non
puo'  essere  considerata  elemento  imprescindibile  ai  fini' della
legittimita' della procedura, trattandosi di attivita' riservata alla
discrezionalita'   dell'amministrazione,   rispetto   alla  quale  il
sindacato  di  legittimita'  e'  estremamente  ristretto» per cui «la
mancanza  od  indeterminatezza  di  tali  criteri non puo' di per se'
comportare  l'illegittimita' del concorso e delle valutazioni in esso
formulate  quando  i  giudizi  espressi  per  i singoli candidati non
presentino  aspetti  di  irrazionalita'  e  di  violazione  della par
condicio»  (Cons . Stato, sez. V, 14 dicembre 2006, n. 7116; Sez. VI,
12 dicembre 2002, n. 6250).
   Il  tribunale  non  e' persuaso delle argomentazioni sopra svolte,
osservando  che,  per comune insegnamento, la materia dei giudizi nei
concorsi   e  nelle  prove  di  abilitazione,  non  pare,  anzitutto,
rettamente ascrivibile all'area della discrezionalita' amministrativa
nel   pregnante  significato  suo  proprio,  quale  ponderata  scelta
alternativa   del   mezzo  maggiormente  satisfattivo  dell'interesse
pubblico,  ma,  avendo  detti  giudizi  ad  oggetto  la sufficienza o
l'insufficienza  delle  ridette  prove  scritte  come  pure  la  loro
completezza   od   incompletezza   ovvero  il  loro  illogico  e  non
argomentato   svolgimento,  essi  coinvolgono  concetti  giuridici  a
contenuto  indeterminato  che,  ancorche' riassunti nell'imprecisa ed
ambigua   formula   della   «discrezionalita'   tecnica»,  che  altri
classificherebbero come un elegante ossimoro, ben sarebbero passibili
di  un riscontro di piena cognizione, non potendo essere diversamente
giustiziabile  la  pretesa  dei candidati, opposta a quella, peraltro
totalmente immotivata, delle Commissioni esaminatrici.
   Non  appare pervero un mero accidente, privo di ogni rilevanza sul
piano  processuale,  il  fatto che l'art. 44 del r.d. 26 giugno 1924,
n. 1054,  cosi'  come  novellato dall'art. 1, comma 2, della legge 21
luglio  2000,  n. 205, preveda che la decisione sui mezzi istruttori,
ben  diversamente  dall'acquisizione meramente cartolare di un tempo,
comprenda  anche  a  consulenza  tecnica d'ufficio per l'accertamento
della legittimita' di ogni questione positivamente sottratta all'area
della riserva amministrativa.
   Ne'   per  converso  sembra  possibile  aderire  alla  concorrente
argomentazione   che   si   fa   inesattamente  discendere  in  detto
orientamento   dalla   nozione   di   discrezionalita',  affermandosi
contraddittoriamente  che  il  riscontro  dei  visti giudizi negativi
espressi  dalle  Commissioni  di  concorso  o di abilitazione sarebbe
sottoposto  ad  un  «sindacato»  estremamente  ristretto,  quando  si
persiste  a  negare ogni possibilita' che tale pur limitato controllo
sulla  denunciata irrazionalita' di essi o sulla violazione della par
condicio  possa configurarsi ed essere concretamente esercitato sulla
base  di  una  motivazione  di  cui si attesta nel contempo la totale
superfluita'  (cfr.  ancora  ex multis Cons. Stato, sez. V, 19 aprile
2007,   n. 1794,   Sez.   VI,  26  maggio  2006,  n. 3147;  Tribunale
amministrativo regionaleLazio Roma sez. I, 3 luglio 2007, n. 5941).
   Quanto  ad  una  potenziale  diversa  riflessione  sulla questione
all'esame   non   consta,  poi,  essere  stato  sotto  alcun  profilo
valorizzato  il  sopravvenuto  art. 11, comma 5, del d.lgs. 24 aprile
2006,   n. 166,   che  del  tutto  analogamente  a  quanto  stabilito
dall'originaria formulazione del d.P.R. 9 agosto 1994, n. 487 quando,
cioe',  la  norma prescriveva la «motivazione del punteggio» e dunque
antecedentemente  alla  modifica richiesta dall'Adunanza generale del
Consiglio  di  Stato  con  avviso  del  9  novembre  1995, n. 120, ha
stabilito  per  lo  svolgimento dei concorsi notarili l'obbligo della
motivazione  per  i'.  giudizi  di non idoneita', sostituito dal solo
voto  nell'opposta  ipotesi  di idoneita' e dunque di ammissione alle
prove orali dei candidati.
   2.   ―   Per  quanto  piu'  direttamente  concerne  la  presente
controversia  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  che si
solleva appare, anzitutto, rilevante nella vicenda all'attenzione del
Collegio,  atteso  che,  dovendosi  altrimenti  fare applicazione del
richiamato  «granitico»  indirizzo  del  Consiglio  di'  Stato,  pena
l'annullamento  della  relativa  sentenza  su appello dell'Avvocatura
distrettuale  dello  Stato,  il  ricorso  dovrebbe  essere altrimenti
respinto in toto.
   Nell'ipotesi  invece  che  gli  artt.  22,  nono  comma del r.d.l.
n. 1578  del  1933  e 17-bis, 22, 23 e 24, primo comma del r.d. n. 37
del 1934, richiamati dalla ricorrente nell'atto introduttivo. fossero
suscettibili  di un'interpretazione orientata al rispetto delle norme
costituzionali  il  ricorso  potrebbe,  invece, essere accolto per la
denunciata  violazione dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241,
che  alle  richiamate  norme  sovrapporrebbe  il  vincolo indotto dal
generalissimo  principio ivi enunciato per la retta redazione di ogni
atto o provvedimento amministrativo.
   Con  riguardo,  poi,  alla non manifesta infondatezza della stessa
questione  questa  deve  essere  riguardata,  a parere del remittente
Collegio,  alla  luce  dei  precetti  di  cui  agli artt. 24, primo e
secondo  comma,  111,  primo e secondo comma, 113, primo comma e 117,
primo comma della Costituzione.
   Quanto  al principio di effettivita' della tutela giurisdizionale,
solennemente  proclamato  dall'art.  24, primo e secondo comma e, con
riguardo  all'esercizio della giurisdizione amministrativa, dall'art.
113,   primo   comma   della  Costituzione  giova  osservare  che  la
giurisprudenza   del   Consiglio   di   Stato  ha  progressivamene  e
costantemente   valorizzato  il  dogma  della  sufficienza  del  voto
alfanumerico  immediatamente  dopo  il  richiamato  parere 9 novembre
1995,  n. 120  dell'Adunanza  generale  con cui e' stata richiesta la
modifica  dell'art.  12,  comma  1, del d.P.R. 9 agosto 1994, n. 487,
disciplinante  in  via  generale  l'accesso  per concorso al pubblico
impiego, che prescriveva espressamente e puntualmente «la motivazione
del  punteggio»,  cui  ha  successivamente  dato corso il Governo con
d.P.R.   30   ottobre   1996,   n. 693,   tramite   la   sostituzione
dell'espressione «assegnazione del punteggio» a quella antecedente; e
cio'  proprio  a  seguito  dell'ivi  argomentata sufficienza del voto
alfanumerico.
   La   suddetta   novella,   a   seguito   della  quale  le  sezioni
giurisdizionali  del  Consiglio  di  Stato  hanno poi dato negli anni
successivi  coerente seguito, appare dunque di tutto rilievo, essendo
stata cosi' espunta dal tessuto dell'ordinamento l'unica disposizione
in   grado   di   positivamente   .  infirmare  la  teoria  del  voto
alfanumerico;  altrettanto'  rilevante appare, inoltre, il richiamato
parere  dell'Adunanza  generale  per  il  fatto che sia stato in tale
occasione  fornito  da  parte  di un organo consultivo a composizione
astrattamente totalitaria ex art. 17 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054
un  assai  autorevole  avviso,  di  per  se' potenzialmente capace di
escludere in prosieguo ogni diversa lettura della norma anche in sede
giurisdizionale  in  applicazione  dell'art. 3 della legge n. 241 del
1990.
   Il  fondamento  della  richiesta  di  modifica  rivolta al Governo
traspare,  poi,  apertamente  dalle  argomentazioni  svolte nel visto
parere  dell'Adunanza  generale,  che  non ha dissimulato l'avvertita
preoccupazione  che l'altrimenti incombente obbligo della motivazione
in  capo  alle  Commissioni  esaminatrici potesse costituire problemi
organizzativi  di  non agevole soluzione con conseguente allungamento
dei  tempi  di correzione degli elaborati ben oltre il termine di sei
mesi stabilito dall'art. 11, comma 5, dello stesso Regolamento.
   La  valorizzazione  dei  principi,  oltre  che d'imparzialita', di
economicita'   e   di   celerita'  di  espletamento  delle  procedure
concorsuali,  ha  trovato  dunque  una  corrispondente risposta nella
suddetta  modifica  dell'art.  12,  primo comma del richiamato d.P.R.
n. 487   del   1994,   in   cio'   pensosamente  assicurandosi  piena
applicazione  al  principio  di buon andamento stabilito dall'art. 97
della Costituzione.
   In   tale   statuizione   e   nel  successivo  orientamento  della
giurisprudenza del Consiglio di Stato pare, tuttavia, che sia rimasta
negletta la diversa, ma non meno rilevante esigenza della trasparenza
dei  giudizi  formulati dalle Commissioni esaminatrici e che, quindi,
nel  confronto  con  l'art.  97  della  Costituzione,  fatto  proprio
nell'esercizio  della sua primaria funzione da parte del Consiglio di
Stato  ex  art.  100  della  Costituzione,  sia  rimasto recessive il
diverso principio tratto dai richiamti art. 24, primo e secondo comma
e  113,  primo comma della Costituzione, che altrettanto puntualmente
proclamano il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale.
   Traendo  le  conseguenze  dalle svolte argomentazioni sembra arduo
dubitare   che,  se  l'affermazione  che  il  voto  alfanumerico  sia
espressione  sintetica,  ma  completa del giudizio, essa appala tanto
perentoria  quanto insoddisfacente, restando per tale via impedito lo
svolgersi  di un successivo giusto processo, posto che le Commissioni
esaminatrici  continuano  a  conservare ngiustificatamente un'area di
impenetrabile insindacabilita' a fronte dell'affermata preclusione di
ogni  potenziale  verifica  degli eventuali vizi della motivazione di
volta in volta addotta.
   Per questo aspetto viene conseguentemente in considerazione l'art.
22  del  r.d.  n. 1578  del 1933, come modificato dal d.l. n. 112 del
2003 e dalla sua legge di conversione.
   Tale  disposizione,  al  comma 9, stabilisce espressamente che «la
commissione istituita presso il Ministero della giustizia definisce i
criteri per la valutazione degli elaborati scritti» che devono essere
comunicati  alle  varie  Sottocommissioni:  fra  tale criteri, devono
comunque essere sempre presenti i seguenti:
     a) chiarezza, logicita' e rigore metodologico dell'esposizione;
     b)  dimostrazione  della  concreta  capacita'  di  soluzione  di
specifici problemi giuridici;
     c)  dimostrazione  della conoscenza dei fondamenti teorici degli
istituti giuridici trattati;
     d)  dimostrazione  della capacita' di cogliere eventuali profili
di interdisciplinarieta';
     e)   relativamente  all'atto  giudiziario,  dimostrazione  della
padronanza delle tecniche di persuasione.
   A  tale  stregua non e' dato davvero comprendere quale significato
possa  avere  la  norma  in  questione,  che vincola le Commissioni a
fissare  criteri  per  la  valutazione  delle  prove d'esame, ove non
concorra  per  la  verifica  della  retta  applicazione  dei suddetti
criteri,   nessuno  di  essi  escluso,  il  correlativo  obbligo  di'
motivazione dei giudizi formulati sugli elaborati dei candidati.
   Con   riguardo,   poi,   all'ulteriore   profilo  di  legittimita'
costituzionale  che pare configurarsi, occorre osservare che, in base
a  quanto  stabilito  dall'art.  111,  primo  e  secondo  comma della
Costituzione  «la  giurisdizione  si  attua  con  il  giusto processo
regolato  dalla  legge»,  che  «si  svolge  nel contradditorio tra le
parti,  in  condizioni  di  parita',  davanti  ad un giudice terzo ed
imparziale»:  sotto  questo  profilo  la  ragione  del  dubbio  della
costituzionalita' delle suddette norme, siffatta mente interpretate e
necessariamente  leggibili  in  base  al  «diritto vivente» elaborato
negli  anni  dal Consiglio di Stato, trae alimento nella ciscorstanza
gia'  piu'  sopra  ad  altri  fini  sottolineata  che, in un siffatto
quadro,   sia   radicalmente  esclusa  ogni  possibilita'  che  siano
garantiti  il  diritto  di  difesa  in  giudizio  e  dunque le regole
coessenziali    al   giusto   processo   con   preclusione   per   la
giustiziabilita'    della    stessa    pretesa   avanzata   in   sede
giurisdizionale:  non  potendo,  infatti, applicarsi la regola che, a
fronte di un giudizio negativo espresso nei confronti di un soggetto,
quest'ultimo  non  sia  verificabile  neppure sotto l'angusto profilo
della sua motivazione appare concorrentemente viziato il principio di
effettivita' della tutela giurisdizionale.
   Altrettanto   manifestamente   non   infondata  appare  la  stessa
questione  alla  luce  dell'art. 117, primo comma della Costituzione,
posto   che,   seppure  l'art.  111,  primo  e  secondo  comma  abbia
pacificamente introdotto nel nostro ordinamento i principi del giusto
processo  come statuiti dalla convenzione europea per la salvaguardia
dei  diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali  a  tutti i
processi  nazionali  e  non  soltanto a quelli coinvolgenti i diritti
convenzionalmente  tutelati,  l'art. 117, primo comma fa obbligo allo
Stato  di esercitare la potesta' legislativa nel rispetto dei vincoli
derivanti dal diritto comunitario e dagli obblighi internazionali.
   Sotto  questo  aspetto  e'  sufficiente  dunque  richiamare quanto
statuito  da  codesta sovrana Corte costituzionale con le sentenze 24
ottobre  2007,  nn.  34  8 e 349, con le quail e' stata attratta alla
competenza  di  codesta  sovrana  Corte  ogni questione inerente alla
retta  applicazione  nell'ordinamento nazionale della convenzione per
la  salvaguardia  dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali
sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950 e cui e' stata data esecuzione
con   legge  4  agosto  1955,  n. 848,  nonche'  del  suo  Protocollo
addizionale firmato a Parigi il 20 marzo 1952.
   Nella  specie  la  questione sopra illustrata appare, infatti, non
manifestamente  infondata  anche  alla  luce  delle regole del giusto
processo  e del principio della sua effettivita',. la cui violazione,
ove  non sanzionata da codesta sovrana Corte, renderebbe la pronuncia
di  conseguente  reiezione  da parte di questo tribunale direttamente
ricorribile per saltum davanti alla Corte europea di Strasburgo.
   Sul  fondamento delle argomentazioni che precedono ed alla stregua
della  rilevanza  e  della  reputata non manifesta infondatezza della
questione  prospettata  si  rimette  la  sua  definizione  alla Corte
costituzionale con sospensione del presente giudizio.